Dicono: non si fa polemica mentre si spala fango. Giusto in teoria. Magari era giusto un anno e mezzo fa, dopo la grande tragedia. Ma se un anno e mezzo dopo la storia si ripete identica, spesso negli stessi luoghi, è un po' difficile chiedere a sindaci e cittadini di tenere la bocca chiusa. Diventa difficile, ad esempio, non chiedersi perché il legname tagliato sulle sponde del Lamone dopo maggio 2023 non sia stato rimosso prima che una nuova piena lo portasse via, facendolo schiantare contro un ponte ferroviario dove ha formato un muro insormontabile, provocando la rottura degli argini del fiume.
Chi doveva rimuovere quei tronchi? Una ditta privata? E chi doveva controllare? La Regione? La struttura commissariale? La questione è interessante perché il muro di tronchi sul Lamone non è l'eccezione, è la regola. Su questo giornale Cristina Guastavillani Muti ha rivelato che giovedì mattina, mentre la pioggia cadeva violenta, grossi camion muniti di gru tentavano affannosamente di liberare le campate dei ponti sul fiume Ronco ostruite da materiale che era lì da mesi.
Dopo tanto caldo e siccità, è la sua considerazione, si sono mossi solo quando la piena toccava il colmo dell'argine. Stesso discorso nel Bolognese. Nel 2023 la bellissima Val di Zena, un'oasi verde di pace tra i comuni di San Lazzaro e Pianoro, è stata devastata: case invase dal fango, gravi danni. Ma quali interventi sono stati fatti dopo sul torrente? Per mesi i residenti hanno denunciato immobilismo e incuria. Era sufficiente percorrere la ...








