Dopo l’alluvione, anzi le alluvioni, l’omicidio della scuola. Selva Malvezzi, un miracolo di archi e memorie rinascimentali nella Bassa bolognese intrappolate tra nebbia e odori di cipolle bianche e dorate, palazzacci e maceri, rischia l’eutanasia. Un finale che la politica deve impedire, trovando soluzioni originali per dimostrare che la vita di una comunità vale più di qualsiasi spending review: da sempre l’uomo in queste terre lotta contro l’acqua. Scariolanti, bonifiche, ponti. L’Idice nutre, abbraccia e devasta. Era accaduto per esempio nel 1823, quando le inondazioni divorarono la vicina Durazzo e ora solo un campanile del diciasettesimo secolo, come un dente che azzanna i campi, resta a testimoniare quella civiltà. Il torrente pareva domato. Addomesticato. E invece.
Veduta aerea delle strade e delle campagne di Selva Malvezzi ancora piene di fango un mese dopo l'alluvione, Molinella (Bologna), 9 giugno 2023. ANSA / EMANUELE VALERI
E’ accaduto duecento anni dopo, quando l’acqua stagnava per giorni, e Selva, dimenticata dai media nazionali, s’è rialzata grazie alla caparbietà della gente, dei volontari della parrocchia, di chi se l’era cavata solo per le pendenze e qualche metro d’altezza.
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