Uno studio internazionale coordinato dall’Università di Bologna ha individuato un insieme di varianti genetiche che consentono ai popoli indigeni delle Ande di affrontare la vita a oltre 3.800 metri di altitudine. La ricerca, pubblicata sulla rivista Communications Biology, getta nuova luce sugli adattamenti evolutivi che hanno permesso lo sviluppo dell’embrione in condizioni estreme di ipossia, tipiche delle aree montane.
Il team ha analizzato i genomi di oltre 150 individui appartenenti ai gruppi etnici Aymara, Quechua e Uros, che vivono nei pressi del lago Titicaca, tra Perù e Bolivia. La scoperta più significativa riguarda un complesso di varianti genetiche che, agendo in sinergia, migliorano l’apporto di ossigeno all’embrione nelle prime fasi della gravidanza, grazie alla formazione di nuovi vasi sanguigni nella placenta.
«Abbiamo osservato adattamenti biologici simili a quelli riscontrati tra le popolazioni himalayane, ma con basi genetiche in parte diverse», spiega Marco Sazzini, docente del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Alma Mater, nonché coordinatore dello studio. «Abbiamo applicato analisi genomiche avanzate per individuare varianti che, prese singolarmente, hanno effetti minimi ma che, combinate, modificano tratti biologici cruciali per la sopravvivenza in alta quota».
Il fenomeno, noto come convergenza evolutiva, descrive l’evoluzione indipendente di tratti simili in popolazioni geograficamente distanti ma sottoposte a pressioni ambientali anal...

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